Nell’ambito della rassegna Giusto un sabato, formula che prevede spettacolo, vino e rinfresco, ai Magazzini del Sale è andato in scena “Le cinque sorelle”, ideato e interpretato da Irene Muscarà. L’attrice messinese è proprio con Domenico Cucinotta e Mariapia Rizzo che ha calcato per la prima volta le tavole del palcoscenico, frequentando il laboratorio che il Teatro dei Naviganti teneva presso il liceo F. Maurolico. Da allora tanta strada, numerose esperienze artistiche e, durante i viaggi a Mosca, lo studio della grande tradizione teatrale russa alla quale è intimamente legato lo spettacolo “Le cinque sorelle”. Un omaggio al drammaturgo Anton Čechov, dalle cui opere Irene Muscarà estrapola cinque personaggi femminili.
Da “Il giardino dei ciliegi”, la governante Šarlotta Ivanovna, con un cagnolino al guinzaglio che mangia anche le nocciole. Un passato tutto da ricostruire e la solitudine a spezzarla.
Da “Il gabbiano”, Nina Michailovna Zarečnaja, giovane figlia di un ricco possidente, due amori: il teatro e Trigorin. Il primo le riserverà il ruolo di attricetta di provincia, il secondo le infliggerà la ferita più insanabile, quella dell’assenza.
Da “Il giardino dei ciliegi”, Ljubov’ Andreevna Ranevskaja, proprietaria terriera di ritorno in Russia dopo essersi trattenuta diversi anni in Francia, mantenendo un alto tenore di vita. Nella vecchia casa di famiglia, da cui si era allontanata dopo la tragica morte del figlioletto, tutto è terribilmente mutato. L’intera tenuta è all’asta.
Da “Zio Vanja”, Sof’ja Aleksandrovna (Sonja), alle prese con l’indifferenza di Astrov, che la donna per nulla attraente ama senza essere ricambiata.
Da “Le tre sorelle”, Olga, con un continuo mal di testa causatole dall’insegnamento e dalle ragazze del ginnasio. Il desiderio di un marito, anche senza amore, per non dover lavorare.
Cinque donne e cinque storie che si confondono e quasi si intrecciano nel monologo di Irene Muscarà. L’artista presta loro corpo e voce, dando prova di possedere grandi doti d’interprete drammatica e, in taluni momenti, brillante. Le storie che irrompono sulla scena lasciano dunque il segno in virtù della sua indiscutibile bravura nell’affrescarle con una pennellata appena. E in quella pennellata risiede l’università che le staglia dal contesto entro il quale sono state generate e le rende appetibili anche ai fruitori occasionali, quelli che – per intenderci – sconoscono i drammi di Anton Čechov. Diversi i piani di lettura, pertanto, di questo lavoro che ha comunque il pregio di puntare sul dettaglio psicologico dell’individuo più che sulla ricostruzione di vicende. Le cinque sorelle sgorgate dalla penna di Čechov rincorrono, ciascuna a proprio modo, quella felicità che ha il vizio di sfuggire magicamente di mano. Una ragione di vita da inseguire, il famigerato posto nel mondo che non si trova: tutto converge nell’universo ricostruito da Irene Muscarà prendendo in prestito le anime del drammaturgo russo.
Oggetti di scena e costumi facilitano il compito dello spettatore nell’individuazione dei personaggi e concorrono a scandire i ritmi dello spettacolo che rinuncia, invece, a un disegno luci a sostegno della drammaturgia. È presumibile si intendesse eludere la didascalicità e illuminare dei medesimi colori le vite tutte, non fosse altro che per il medesimo universo dal quale esse provengono.
A margine delle esistenze, la rassegnazione. “Che fare, bisogna vivere!” ammette del resto Sonja sulle battute finali. E saranno interminabili sere, saranno prove su prove volute dal destino, saranno sofferenza, amarezza e morte. Ma poi sarà riposo. Sonja è certa che Dio avrà pietà dell’uomo. Innanzi ai suoi occhi l’orizzonte luminoso sul quale dimora la speranza. Insieme alle lacrime e alla luce proprie e delle sorelle che, come lei e con lei, già intravedono quel mare di misericordia entro cui annegherà tutto quanto il dolore.
(da Infomessina.it)
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