Giusi Arimatea

TEATRO

AMIGDALA

Riusciamo a comparare gli stimoli che riceviamo con le esperienze passate? Riceviamo segnali dagli organi di senso? Consultiamo l’archivio della memoria? Siamo capaci di gestire le nostre paure? 
Queste le domande cui Orazio Abate, Nino Cosenza e Giovanni Maria Currò, attraverso una drammaturgia forte e una trasposizione scenica, affidata all’ingegnosa regia di Giovanni Maria Currò e Mauro Failla, intenzionalmente tetra, hanno provato a fornire qualche risposta. 
Tu crei a teatro, in un luogo per sua natura adibito alla finzione, le condizioni adatte per destare la paura vera e quella, in un batter d’occhio si presenta al cospetto dello spettatore. Giova fronteggiare ciò che spaventa. Limitare le reazioni. Giova, in una sola parola, l’amigdala. 
Cala il buio sul teatro Clan Off, all’ultimo spettacolo della stagione. E sarebbe persino il più geniale congedo dopo la brillante carrellata di spettacoli che l’hanno caratterizzata. Eppure il buio, quel buio, è solo il primo ancestrale terreno sul quale gemina la paura. 
Le presenze che vi dimorano sono ravvisabili nello stesso istante in cui te le ritrovi a un palmo dal naso. Inevitabile il trasalimento. 
A “Dream of a Witches’ Sabbath from Symphonie Fantastique” di Hector Berlioz compete l’ambientazione sonora, ouverture d’una sequenza di brani in piena euritmia con le singole scene. Ché la musica in “Amigdala” dilaga al pari delle parole, magnificandone il significato. 
Dapprima è una bambina ad attraversare il bosco della paura. Eco d’un universo interiore sempre sul punto di lasciarsi inghiottire dalle tenebre. 
Isteria e inquietudine sulle risate fragorose e sulle non meno roboanti lacrime nei volti appena rischiarati di uomini che la vita emotivamente strattona.
Maschere senza membra che fluttuano. Come anime in pena nell’interno delle loro esistenze. Ansia, palpitazione, sudore, battito del cuore, respiro, sensi acuiti. Ma il corpo non risponde. 
Mostri che divorano donne, macchie nelle radiografie, morte, schizofrenia, visioni, voci. E poi guerra, armi. Ancora legàmi, violenza, sangue. La cura della forma negli indumenti professionali di chi si infila la maschera antigas per andare a spasso per il mondo. 
Tutto è orrore. Tutto chiama in causa l’amigdala in questa rappresentazione del macabro nello spazio neutro del teatro e in quello lugubre delle coscienze. 
L’idea registica, frutto dell’esperienza di Currò e Failla, è coraggiosa e si pone al servizio d’un progetto collettivo che brilla di lampi creativi ma al contempo convoglia singole energie e contributi individuali verso quella medesima esperienza di vita e di scena. 
Sono Orazio Abate, Kasia Albrecht, Nino Cosenza, Piera Costantino, Manuela Smeriglio, Martina Costa, Angelo Morabito, Cinzia Murabito, Sabrina Pellegrino, Carlo Spinelli a districarsi tra i sentieri che non ammettono l’esercizio della ragione. 
Produzione targata Clan degli Attori, “Amigdala” chiude sulle paure il sipario della stagione teatrale 2017/2018. 
Il bilancio, in termini qualitativi, è positivo.
E i due direttori artistici, Currò e Failla, guardano già, con immutato entusiasmo,  alla prossima stagione.
Quando le luci si accendono gli spettatori sono ancora rintanati in quella zona franca del proprio io che tiene distanti i pericoli. Ecco, quella è la paura. Quello il miracolo che solo l’amigdala può compiere.

(da Tgme.it)

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