Il Clan Off teatro ha aperto la stagione con lo spettacolo “Le mille bolle blu” di Salvatore Rizzo, diretto e interpretato da Filippo Luna, prodotto da Nutrimenti Terrestri in collaborazione con Rete Latitudini. Nel 2010 il premio dell’Associazione Nazionale Critici Teatrali per l’interpretazione e a novembre, in tempi peraltro di spettacoli usa e getta che si arenano poco dopo il debutto, saranno ben undici anni di repliche.
Occorre dunque comprendere quali siano le ragioni di un successo che ha posto in perfetto equilibrio pregi artistici della messinscena e opportunità comunicative tra teatro e spettatore.
Sarebbe bastata la potenza della scrittura che prelude all’intera operazione? Non credo. Come non credo sarebbe bastata la dimensione estetica, quantunque inappuntabile, creata a livello registico per corroborare la forza intrinseca della drammaturgia di Salvatore Rizzo. Sarebbe bastato il talento di uno straordinario Filippo Luna che diventa spiritualmente e carnalmente personaggio? Forse no, non sarebbe bastata neppure la grande prova attoriale di Luna a decretare e perpetuare il meritato successo dello spettacolo “Le mille bolle blu”, al quale le citate condizioni piuttosto concorrono, creando un insieme incontestabilmente perfetto, ma che vive, nutre e si nutre di un requisito fondamentale: l’attitudine a trasformare la realtà in rappresentazione, senza anestetizzare, piuttosto alimentando la partecipazione sensibile dell’individuo cui i modelli dominanti impongono confortevole indifferenza.
Individui rivestiti di alluminio anodizzato, quali siamo diventati, percepiamo di rado sulla nostra pelle il dolore altrui. Abbiamo affinato nel tempo gli strumenti atti a schivarlo o, peggio, a non riconoscerlo. “Le mille bolle blu” il dolore te lo sbatte in faccia, e questo non lo sottrarrebbe alla modalità diffusa nell’universo globale dell’informazione se non fosse per il coraggio di sminuzzarlo, quel dolore, in mille microscopici pezzi che ti entrano uno per uno nella carne, innescando il regolare processo di percezione.
La storia di Nardino ed Emanuele, “zitti zitti, suli suli, a mucciuni a mucciuni”, è la storia di un sentimento zittito dai pregiudizi e dalle ottusità che cavalcano un trentennio, dal 1961, e sui quali occorre ancora oggi non spegnere i riflettori, tale e tanta è la strada da fare per riconoscere a ciascuno il diritto di vivere liberamente la propria sessualità. Ma, oltre a ciò, “Le mille bolle blu” è una meravigliosa storia d’amore e, come tale, si presta alla riqualificazione di un sentimento cui la stessa società che tanto si dimenava per salvaguardane l’integrità ha negli anni insidiato finanche la sua ragion d’essere.
L’amore di Nardino, vivificato dai ricordi, al tempo del distacco fisico tra i due amanti, quando sopraggiunge la morte di Emanuele, è la declinazione di un sentimento che ha accartocciato ore, paure, incomprensioni, gelosie. E intanto edificava istanti di gioia infinita sui quali danzare, volare senza alzarsi di una spanna da terra. Ché Nardino aveva Emanuele ed Emanuele Nardino. Punto. Tanto bastava per commuoverti innanzi alla felicità impressa sul volto di chi resta avvinghiato al passato, ballando sulle note dei Bee Gees o di quei 24000 baci che avevano colorato di rosa un’esistenza.
Un amore “bellissimo”. Senza rimorso, ripensamenti, sensi di colpa. Un amore a dispetto della rispettosa vita di un barbiere e di un avvocato con la sfumatura alta e con tanto di moglie e figli al seguito, due per ciascuno, come a voler pareggiare sul terreno di gioco del socialmente ammissibile.
Peccato che il segreto più bello della vita di Nardino sia destinato a rimanere per sempre tale. Peccato che i fiori sulla tomba di Emanuele dovranno stare di lato a quelli di Elvira, la moglie. Peccato che il dolore di Nardino non può essere urlato. Perché c’è il mondo. E “cu si nni futti du munnu?” è la verità più a lungo taciuta e che Nardino pronuncia pescandola nel cuore di chi apprende e avverte, a teatro, quel dolore frutto del più nobile sentimento che possa travolgere un essere umano. Mentre una lacrima riga il volto di chi sa che il mondo è ancora lì e le mille bolle blu danzano solo sui grappoli di nuvole di una canzone.
(da Infomessina.it)
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